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:: OZIARE equivale a MEDITARE?! ::

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Messaggio  Shila Gio Set 10, 2009 3:59 pm

Si afferma che l'ozio sia il padre dei vizi, e così è diventata una parola inopportuna nel nostro secolo. E' stata bandita dalla nostra civiltà per una sua cattiva interpretazione. Al posto suo si sono coniate altre paroloni, altri termini che hanno, secondo me, lo stesso esito....... vogliono dire la stessa cosa.

Ma ozio deriva dall'antico greco: schole. E significa “quiete”, “riposo”, “tempo libero”, vuol dire, “tempo per sé”, ovvero tempo operoso, finalizzato alla nostra realizzazione più autentica.

Seppure siamo completamente assorbiti dai ritmi produttivi delle città-officine, l’ozio può diventare un piccolo "tempio" del sapere dell’anima. Una piccola cittadella interiore, un luogo in cui coltivare la ragione affettiva e riscoprire l’essenziale; ma anche momento propizio per rivisitare gli originari paesaggi del corpo, i suoi ritmi naturali, la sua simbiosi con il mondo, non più inteso come spazio da usurpare e manipolare in vista della produzione, bensì come dimora da abitare con sguardo meravigliato, quasi verginale.

In definitiva, il tempo che usiamo per oziare è un tempo contemplativo, che scorre lento, paziente, carico di significati esistenziali, affettivi ed etici per chi lo sa vivere veramente: è una vacanza dell’anima che si riposa lavorando su se stessa, per se stessa e per un più autentico rapporto con gli altri, visti non solo sotto il segno della competitività, bensì della prossimità affettiva e della fragilità esistenziale.

Così scriveva dell'ozio il filosofo Wilhelm Friedrich Nietzsche (1844 - 1900) nel suo libro "La gaia scienza".

"Ci si vergogna già oggi del riposo, il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza. Si pensa con l’orologio alla mano… si vive quasi come uno che continuamente 'potrebbe farsi sfuggire' qualcosa".

"Il furibondo lavoro senza respiro… comincia già per contagio a inselvatichire la vecchia Europa e a stendere su di essa una prodigiosa assenza di spiritualità"
.

Nietzsche presagisce con straordinaria lucidità il ritmo vorticoso, ossessivo delle nostre citta-officine, le cui grammatiche esistenziali sono declinabili solo nei termini della ragione strumentale, dell’efficienza, della produttività, della competitività esasperata, della seriosità e del disincanto.

Che possiamo aggiungere di più se non: a quanto pare non c'è nessuna differenza con la nostra civiltà odierna, frenetica, omologante, opulenta. Anche noi oggi viviamo solo in funzione del tempo, del denaro, della produzione e del consumo immediato, tanto da dimenticare ogni forma di temperanza.

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